Crisi Mozarc Bellco, le ragioni della preoccupazione della Società Italiana di Nefrologia

E’ ancora aperto il tema della crisi Mozarc Medical, scaturita dopo che la multinazionale americana lo scorso 12 giugno aveva comunicato l’intenzione di chiudere l’impianto produttivo di Mirandola mettendo a rischio circa 350 posti di lavoro. L’azienda, nel corso di un tavolo con le istituzioni in Regione, si è poi impegnata a dare attuazione a un processo di reindustrializzazione del sito al fine di preservarne la continuità industriale anche attraverso l’individuazione di possibili acquirenti. Il tavolo è stato riaggiornato a martedì 17 settembre con un secondo incontro in cui dovrebbero emergere i dettagli del percorso di reindustrializzazione.

Ne parliamo con Stefano Bianchi, Presidente della Società Italiana di Nefrologia che ha appreso con preoccupazione l’annuncio della cessata produzione dell’azienda, ex Bellco, eccellenza del distretto biomedicale del Modenese.

Cosa rappresenta questa crisi per il settore della dialisi? C’è il rischio di un problema di approvvigionamento di dispositivi?
C’è una perdita di un fornitore importante, che storicamente ha rappresentato un punto di riferimento per la nefrologia italiana. I materiali prodotti da Bellco, successivamente poi da Mozarc, sono materiali ampiamenti usati a livello nazionale. A parte la perdita di investimenti nell’ambito di miglioramenti tecnologici, la perdita di produzione di questi materiali porta al fatto che verrebbero sostituiti da altri. E’ chiaro che si perderebbe un punto di riferimento italiano e storico, che da decenni produce innovazione e device di qualità per l’emodialisi, un interlocutore che per le nefrologie è stato sia ricerca che approvvigionamento di attrezzature e di apparecchi di qualità.

Investire nella dialisi non viene più considerato interessante?
Nel mondo ci sono milioni di pazienti di trattamento dialitico. Esiste un “mercato” per l’industria e non è vero che investire nell’emodialisi non è più conveniente. Credo che Mozarc non abbia trovato grossi ritorni economici e di conseguenza, come spesso fanno le multinazionali, ha chiuso. Sull’emodialisi cronica i margini di guadagno dell’industria sono modesti, il mercato più redditizio è nell’emodialisi per l’acuto. Bellco produceva ambedue le tipologie di forniture. Ci saranno, quindi, delle dinamiche di natura industriale che hanno fatto sì che qualcuno abbia deciso di smettere di investire. Si sapeva che c’erano delle difficoltà in quell’ambito.

Si può ancora innovare nella dialisi?
Sulla dialisi si può e si deve innovare. Realizzare macchine per dialisi che siano in grado di fornire più tipologie di trattamento e che possano realizzare le condizioni per un’emodialisi più green, con minor consumo di acqua ed elettricità. I device per la dialisi necessitano ancora di investimento per la ricerca di membrane per dialisi che siano sempre più biocompatibili e abbiano caratteristiche di depurazione del paziente sempre migliori. C’è, sicuramente, ancora uno spazio di ricerca sia nel paziente in dialisi cronica che nel paziente che ha una malattia renale acuta.

Quanti sono dializzati in Italia? Un numero sotto controllo o destinato ad aumentare?
Il numero è di 50.000 dializzati in Italia e, se verranno rispettate le previsioni a livello mondiale, è destinato ad aumentare perché, nonostante i progressi nella diagnosi precoce della malattia renale, molti pazienti arrivano alla necessità di ricorrere alla terapia sostitutiva e poi al trapianto renale. Questi numeri hanno un costo enorme, noi spendiamo oltre il 2% del finanziamento sanitario per trattare i pazienti in trattamento emodialitico. La ricerca ha senso nel trovare soluzioni che, anche dal punto di vista economico, possano essere gradite in particolare dai servizi sanitari nazionali.

Il Dottor Veronesi, fondatore di Bellco, dializzato anche lui nell’ultimo periodo della sua vita, diceva: “in fondo ho lavorato per me…”
E’ un input crudo, ma quando si fa ricerca e si realizzano prodotti di qualità destinati alla cura delle malattie si lavora di fatto anche per sé stessi e per la comunità. Certamente c’è ancora necessità di ricerca e di produzione di qualità. La perdita di un polo di riferimento storico per la nefrologia italiana è la perdita di un patrimonio importante per il nostro paese. Il biomedicale, nella zona dell’Emilia, è un vanto per il nostro paese ed è il secondo polo tecnologico che riguarda la dialisi nel mondo. La preoccupazione nostra è che si perda proprio un patrimonio di cultura e ci auguriamo che non abbia ripercussioni a cascata.

L’emergenza Covid non dovrebbe averci insegnato quanto sia importante avere delle produzioni “nazionali” di dispositivi medici senza dover ricorrere a forniture provenienti da altri paesi? Condivido al 100%. Le grandi emergenze, e la pandemia Covid è uno degli esempi più importanti, ci dicono che quando dipendi da altri per la fornitura di materiali prendi l’appuntamento e ti metti in coda, pagando anche di più di quello che dovresti pagare. Di fatto è così.