Pulin, Confimi Sanità: “Chiediamo l’annullamento in toto del payback”

Confimi Industria Sanità ha scritto una lettera aperta indirizzata alle istituzioni e al mondo politico per metterli a conoscenza dei rischi che corrono il Sistema Sanitario Italiano, l’occupazione ed il Made in Italy a causa del payback.

Abbiamo intervistato Massimo Pulin, presidente Confimi Industria Sanità

Cosa chiedete al Governo?
Confimi Industria Sanità richiede l’annullamento, in toto, del decreto payback.

Quali sono le vostre proposte?
Confimi Industria Sanità ha fatto un’esplicita proposta scritta al Governo, inviata anche a tutte le regioni, dove è stata descritta quale potrebbe essere una soluzione, ovvero la riduzione al 20% del totale del debito che sia a carico delle aziende con l’aliquota da applicare all’utile delle aziende coinvolte, al netto delle imposte già pagate e non al fatturato, come oggi è previsto. Naturalmente, da parte di regioni e province, ci deve essere una messa a disposizione delle fatture che rientrano nel calcolo del payback. È necessaria una revisione delle modalità di riscossione, che non deve essere certamente effettuata tramite il meccanismo della compensazione (perché paralizzerebbe l’operatività delle aziende), ma in conformità alle norme che regolano tasse di imposte con la possibilità di avvalersi di eventuali rateizzazioni. In tal senso, per quanto Confimi Industria Sanità apprezzi lo sforzo del Governo di consentire alle aziende coinvolte di assolvere all’obbligo di ripiano, 
è cosa nota quanto l’accesso al fondo di garanzie alle piccole-medio imprese incida negativamente sulla bancabilità delle stesse. Quindi, ci troveremmo in situazioni di stallo nelle eventuali contrattazioni per investimenti o finanziamento verso istituti bancari.

Che rischi corrono le imprese?
I rischi sono la scomparsa di migliaia di aziende nel settore e di eccellenze con la conseguente dispersione del made in Italy. Vorrei ricordare che contribuiamo a realizzare circa il 2% del Pil italiano e questo è il comparto dei dispositivi medici che genera complessivamente un mercato di 17,3 miliardi di euro tra export ed import.

Con le Regioni c’è un dialogo su questo tema?
Al momento, nessun dialogo. Nessuna Regione ha chiesto incontri.

Confimi Industria Sanità quante aziende racchiude? Vi rivolgete alle aziende del settore in modo trasversale o c’è un ambito più rappresentato?
Confimi Industria Sanità racchiude circa 1200 imprese nei vari settori. Il 30% opera nei dispositivi medici, il 25% nella fornitura di dispositivi ortoprotesici, un 18% in commercializzazione, un 10% opera in intel medicina, un 5% in servizi e un 5% in IVD. 

Dopo la vostra lettera al Governo qualcosa si è mosso?
Al momento il Governo non ha fatto alcuna richiesta di incontri per cercare una soluzione. Il 30 giugno è vicino, speriamo di poter trovare una soluzione a brevissimo.

Perché si è arrivati a questo punto?
L’origine del problema è stato generato da una legge del 2015, che il Governo Renzi ha riproposto. A settembre 2022 il Ministero della Salute e di Economia e Finanze hanno certificato lo sforamento della spesa di dispositivi medici che era previsto al 4% del fondo nazionale. Per gli anni 2015 e 2018, per risolvere tale deficit, ha chiesto ai fornitori di contribuire al pagamento del 50% dell’importo. Poi, a ottobre il decreto interministeriale del Ministero della Salute e MEF hanno stabilito le linee guida per l’adozione di tale provvedimento. A gennaio il termine iniziale per il pagamento da parte delle aziende dello scaduto, tramite compensazione automatica e autoritativa. A marzo 2023 il decreto legge 34, il cosiddetto decreto bollette, ha stabilito che per le imprese che non hanno impugnato il provvedimento di condanna al pagamento del payback quest’ultimo verrà ridoto in misura pari al 52%. Questo è inaccettabile e ingiusto. I rischi che corre lo stato sono un aumento dei prezzi di fornitura, per cui va a vanificare quello che lo stato andrà ad incamerare, una discontinuità nella fornitura degli stessi e una scomparsa di migliaia di imprese, oltre al blocco delle assunzioni e alla demolizione di un sistema di informazione e aggiornamento del personale pubblico che le imprese attuano costantemente.