“Lo studio costerà 50 milioni di euro e durerà cinque anni ma tra due avremo il prototipo. Per realizzarlo sarà necessario il contributo di medici, ingegneri, biologi ed esperti di materiale biocompatibile.” Il professor Gino Gerosa, direttore della Cardiochirurgia dell’Azienda Ospedale Università di Padova, ha annunciato che è sempre più vicino l’obiettivo del primo cuore artificiale tutto italiano.
Gerosa, Professore Ordinario di Cardiochirurgia e Direttore Scientifico del Consorzio per la ricerca sanitaria della Regione Veneto, è uomo da primati. Solo pochi mesi fa, ad esempio, ha eseguito il primo trapianto in Italia da donatore a cuore fermo con la sua equipe della cardiochirurgia padovana, dove avvenne nel 1985 il primo storico trapianto di cuore in Italia. Lo abbiamo intervistato per capire a che punto è il progetto.
Professore, ci sono finalmente i fondi necessari per realizzare il primo cuore artificiale ideato in Italia?
Abbiamo trovato solide basi finanziarie per dare corpo al progetto e dovremmo essere ad un punto di svolta. Ci siamo dati una tempistica di due anni per riuscire a produrre il prototipo con il quale, poi, procederemo con i test da banco e se questi saranno soddisfacenti alla sperimentazione preclinica.
In cosa si differenzia dagli altri cuori artificiali già utilizzati?
In questo momento ci sono a disposizione due cuori artificiali. Quello nord americano, che è molto rumoroso, e quello francese, molto sofisticato tecnologicamente ma troppo grande. Abbiamo cercato di dare una risposta a tre quesiti: ottimizzare la biocompatibilità del sistema per garantire la miglior qualità di vita per il paziente, ridurre le dimensioni per poter garantire il suo impiego in tutti i pazienti, indipendentemente dal genere e dalla taglia corporea, e intenderlo non più come ponte al trapianto ma come sostituzione definitiva dell’organo cuore. Quindi come alternativa al trapianto di cuore, in modo tale da avere un cuore artificiale totale sullo scaffale. Il paziente che si presenta con una necessità terapeutica di quel tipo non dovrà attendere un potenziale donatore, ma si potrà avere a disposizione la soluzione immediatamente sullo scaffale della sala operatoria.
E’ possibile fare una stima di quanti dispositivi potrebbero servire ogni anno una volta che il cuore verrà industrializzato?
A livello nazionale, in Italia, ci sono circa 750-800 pazienti in lista d’attesa per trapianto di cuore e a questi diamo una risposta circa al 35% perciò una volta industrializzato daremmo una risposta ad un 60%. Va tenuto conto, però, che per essere messi in lista d’attesa per il trapianto non bisogna avere controindicazioni che, molto probabilmente, non varrebbero per un cuore artificiale totale.
Si tratta di un dispositivo personalizzato o si prevede una standardizzazione?
E’ personalizzato nel senso che è un dispositivo che dovrebbe prevedere il fatto che la superficie interna dei ventricoli artificiali venga ripopolata dalle cellule endoteliali del potenziale ricevente. In questo caso sarebbe, di fatto, una personalizzazione. Dal punto di vista, invece, del comparto meccanico-elettrico è standardizzato.
Dal punto di vista produttivo, dove verrà realizzato?
Questi sono step successivi che inizieremo a prendere in considerazione quando i primi device verranno testati nel modello preclinico animale e avremo più chiare le idee sulla fattibilità industriale del progetto stesso”.
Da quanti anni sta lavorando al progetto? Quali sono gli ostacoli ancora da superare per realizzarlo?
Sono almeno dieci anni che stiamo pensando al cuore artificiale totale. Il più grosso handicap, precedentemente, era la mancanza di risorse finanziarie stabili. Oggi che abbiamo queste risorse finanziarie, e possiamo sviluppare il progetto, ci siamo dati una tempistica di due anni per produrre il prototipo. Al momento non ci sono ostacoli, sta solo nella nostra capacità di saper correre e dare corpo alle nostre idee.