Una joint venture a Suzhou per puntare a una presenza diretta nel mercato cinese e rafforzare la propria quota di mercato in un territorio complesso e in forte sviluppo. E’ questa l’ultima sfida del Gruppo Medica, attivo da quasi quarant’anni nel distretto biomedicale di Mirandola, in tre macro aree di business: medicale (principalmente dialisi e medicina rigenerativa), purificazione microbiologica dell’acqua e automazione industriale per il settore biomedicale. Il Gruppo ha chiuso il 2023 con un fatturato di circa 80,0 milioni di euro.
Ne parliamo con Marco Fecondini, Ceo di Medica.
Fecondini, siete nati nel 1985. Come è cresciuta la vostra realtà da allora?
Medica è nata come un laboratorio di sviluppo prodotti per la purificazione del sangue, sia disposable che elettromedicali. A partire dagli anni ’90 ha, sostanzialmente, incorporato anche Tecnomedical, che è un’azienda che si occupa di automazione e quindi è in grado di concepire a trecentosessanta gradi un prodotto. Nel 2002 sono state aperte le prime vere cooperation, che prima erano sostanzialmente limitate ad una piccola camera bianca a Medolla, con un importante investimento in Sardegna, a Iglesias, che oggi è il brand più importante del gruppo dal punto di vista tecnologico con circa 150 dipendenti. Negli anni è cresciuta la presenza di mercati internazionali e sono state anche estese, a livello di operation, le produzioni con uno stabilimento a Biserta, in Tunisia, che si occupa di stampaggio a iniezione, di produzione di stampi e dell’assemblaggio di kit, sempre prevalentemente legati al mondo della purificazione del sangue. In Tunisia, sempre a Biserta, abbiamo anche recentemente inaugurato un nuovo stabilimento, che è stato un importante investimento con una grande capacità produttiva con circa 300 dipendenti.
Di recente avete scelto la strada della quotazione in borsa. Con quali obiettivi?
Sì, due anni fa la società si è quotata nel segmento Euronext Growth nella borsa di Milano con importanti target di espansione commerciale perché sino a quel momento gli aspetti commerciali erano legati ad uno storico di contratti private label con multinazionali e ad una rete di distribuzione che copriva una sessantina di paesi. Si è fatta una scelta strategica di andare diretti in alcuni mercati chiave, a volte anche con approcci diversi, per avvicinare l’azienda all’utente finale. Negli ultimi due anni è stata fatta un’acquisizione al 51% in Italia di Sidial, che è un’azienda di distribuzione focalizzata sulla dialisi e sono state aperte tre sedi commerciali in Inghilterra, Stati Uniti e Germania. L’operazione cinese è l’ultima di questa sequenza.
Cosa ha portato portato ad oggi questo passaggio?
Sicuramente ha portato un cambio di mentalità in azienda e ha fatto crescere, anche in maniera indiretta, il livello del personale, spingendo tutta la struttura verso l’alto. E’ stato un percorso difficile, ma ci siamo quotati molto bene. L’ultimo anno, però, è stato critico e l’andamento del titolo non rispecchia le performance dell’azienda. Siamo comunque soddisfatti di quanto fatto perché ci ha permesso di raccogliere risorse economiche dal mercato per poter spingere la crescita. E’ chiaro che il mercato italiano per le piccole e medie aziende, da certi punti di vista, non può dare grosse soddisfazioni, ma noi siamo comunque soddisfatti di quanto fatto fino ad oggi.
Parliamo della joint venture in Cina. Un progetto a cui lavorate da tempo?
Medica ha una presenza consolidata sul mercato cinese da circa dieci anni e ha sempre lavorato tramite distributori. Il mercato cinese, negli anni, è cambiato molto ed è sicuramente uno dei più complessi a livello mondiale. E’ un mercato con uno scenario regolatorio a dir poco difficile perché a volte viene usato anche con fini protezionistici da parte del governo. Si è reso, quindi, necessario un approccio diverso rispetto alla normale distribuzione, anche perché in Cina i tempi sono molto lunghi perciò è necessario operare con una strategia di lungo periodo. Date le nostre dimensioni, non abbiamo ritenuto la scelta idonea di fare una controllata al 100%, anche perché ritenevamo il rischio abbastanza elevato visto lo scenario del paese, e abbiamo quindi optato per un’operazione di minoranza, in quella che in sostanza è una joint venture creata ad hoc per la distribuzione dei prodotti medici, ed anche eventualmente per fare produzioni locali di prodotti con caratteristiche focalizzate sul mercato cinese.
La propensione all’export vi ha sempre caratterizzato. Quali le vostre principali aree di business e quali i mercati più importanti?
Le aree di business principali sono il medicale con la purificazione del sangue, dove operiamo principalmente in due segmenti: il cronico e gli acuti alla aferesi. Il cronico è un settore in sofferenza a livello internazionale con grandi contrazioni soprattutto a livello di prezzi, mentre sugli acuti sulla aferesi è dove stiamo crescendo di più. Abbiamo, poi, una business unit molto dinamica sui cui stiamo investendo molto che riguarda anche la fibrazione dell’acqua. Siamo un’azienda piuttosto diversificata. La Tecnomedical, che si occupa sostanzialmente di automazione industriale, serve alle altre aziende del gruppo, ma ha anche un mercato proprio internazionale, principalmente nord americano, e anche questa realtà è cresciuta molto negli ultimi anni. Siamo un’azienda peculiare perché ci occupiamo di tante cose, anche abbastanza diverse.
E’ ancora possibile fare innovazione oggi? Quali sono le aree a cui guardare?
Sicuramente è possibile fare innovazione oggi e, forse, è anche più facile per le aziende di piccole e medie dimensioni. Ci sono trend, anche a livello internazionale, in cui sostanzialmente le multinazionali hanno costi di sviluppo interni talmente elevati che preferiscono acquisire startup, aziende o progetti. Noi, come tipologia di realtà, abbiamo importanti investimenti in R&D e operiamo in maniera trasversale nei diversi settori, alcune volte anche con tecnologie abbastanza uniche o che comunque hanno pochi player al mondo. Una delle nostre tecnologie chiave è quella legata all’esclusione delle membrane capillari per la filtrazione del sangue, ma anche dell’acqua, o per la separazione di soluzioni. Sono membrane su cui stiamo scoprendo continuamente nuovi applicativi di mercato, che in futuro vediamo molto anche nel settore delle life science.
Negli ultimi anni si è registrato un forte interesse da parte di fondi di investimento stranieri nei confronti del Distretto Biomedicale Mirandolese. Si tratta di un’opportunità per lo sviluppo del Distretto o ritiene che in prospettiva questo posta diventare un elemento di fragilità?
La valorizzazione delle aziende italiane è nettamente al di sotto dei parametri europei. Fare acquisizione in Italia costa poco per fondi di altri paesi perché entrano con multipli nettamente inferiori a quelli a cui sono abituati. Da questo punto di vista è sicuramente una debolezza perché c’è anche il rischio che tecnologie importanti vengano portate via. La zona del distretto, e più in generale queste regioni italiane, è dinamica e molto focalizzata all’innovazione. La parte dove siamo meno bravi è quella successiva, dove si lavora al consolidamento e alla crescita del business, che al giorno d’oggi deve essere per forza fatta con un importante supporto finanziario per raggiungere delle dimensioni di un certo tipo. Il private equity può essere sicuramente uno strumento interessante, da certi punti di vista può essere molto più dinamico rispetto alla pura quotazione. Anche noi siamo stati in contatto con vari private equity, ma poi abbiamo scelto altre strade. Devo comunque dire che sono strumenti che hanno permesso delle crescite importanti.