Innovazione: Ca’ Foscari con Mosaico punta a creare valore attraverso la collaborazione fra pubblico e privato

Verrà ufficialmente presentato a gennaio 2024 Mosaico, l'”ecosistema dell’innovazione” che ruota intorno all’Università Ca’ Foscari di Venezia, alle sue specializzazioni e capacità. “Mosaico – spiega Vladi Finotto, docente di Economia e Gestione delle Imprese, Delegato della Rettrice al Trasferimento di conoscenza – è il network degli innovatori che dentro al nostro Ateneo vogliono migliorare l’efficacia della ricerca portata avanti sia dall’università che dalle imprese con l’obiettivo di risolvere problematiche piuttosto urgenti”. Ca’ Foscari negli ultimi 5 anni (2019-2023) ha ricevuto circa 340 milioni di euro di finanziamenti EU per progetti innovativi, ha al momento 15 spin off attivi ed è fortemente impegnata nel trasferimento tecnologico seguendo un percorso che parte da lontano. “Da tempo organizziamo laboratori di open innovation. Ingaggiamo aziende che ci presentano problemi squisitamente tecnici o di tipo strategico-manageriali oppure altri che stanno un po’ a cavallo fra le nostre competenze. Queste aziende offrono delle sfide ai nostri studenti che in sei settimane, utilizzando l’architrave del Design Thinking e altri metodi, prototipano delle soluzioni e le offrono le aziende. Queste possono poi coinvolgere in stage i ragazzi per affinare la soluzione e magari finanziare una borsa di dottorato o un assegno di ricerca per portare a un ulteriore maturazione il percorso individuato. Il progetto poi può assumere contorni ancora più strutturati, conducendo l’azienda a rapportarsi con i diversi interlocutori del mondo Ca’ Foscari”.

Prof. Finotto, cosa vi differenzia da altre realtà simili?

Siamo partiti intanto da una ricognizione delle difficoltà che vi sono nel portare a valore la conoscenza che matura dentro e intorno alle università. Queste fanno didattica, fanno ricerca di base, ricerca applicata, consulenza conto terzi, affittano le proprie macchine, fanno tantissime cose. Non dobbiamo dimenticare però che il 99% delle aziende in Italia fattura meno di 30 milioni di euro e il 94% ha meno di nove dipendenti. Molto spesso le imprese che si rapportano con le università rischiano di trovarsi di fronte a istituzioni molto complesse, la cui leggibilità non è facile. Quello che vogliamo fare con Mosaico è rendere più immediata l’offerta della nostra università offrendo alle aziende una sorta di menu delle possibili aree di collaborazione. Poi vogliamo creare sinergie “interdisciplinari” per dare delle soluzioni complete e complesse alle aziende. Terzo ed ultimo punto, abbiamo l’obiettivo di creare una comunità degli innovatori. Abbiamo realizzato da tempo che l’innovazione non risiede esclusivamente nelle teste e nelle mani dei ricercatori, oggi il mondo dell’impresa ci propone delle domande e dei percorsi da fare insieme. Ci saranno quindi diversi livelli di affiliazione all’ecosistema Ca’ Foscari. A fronte della corresponsione di un contributo poco più che simbolico, le aziende avranno accesso alla parte di eventi di matchmaking, la possibilità di entrare in un primo contatto con il mondo della ricerca applicata di Ca’ Foscari. Con un’affiliazione più strutturata si potrà accedere a condizioni di favore a percorsi più strutturati che prevedano assegni di ricerca, bandi dedicati per dottorandi e dottorati, accesso a banche dati che abbiamo in uso esclusivo. Per poche aziende molto grandi che ci forniscono, ad esempio, tecnologie importanti per la nostra ricerca prevediamo poi un livello ancora più elevato che le qualifichi come partner di primo livello della nostra comunità.

E’ possibile individuare delle macroaree in cui al momento siete maggiormente impegnati?

Ci sono tematiche che oggi vedono diversi gruppi di ricerca di Ca’ Foscari impegnati su traiettorie indipendenti ma che mirano tutte allo stesso obiettivo. C’è un grande tema che è quello della sostenibilità e della circolarità. Ci stiamo lavorando davvero a tutto tondo. Faccio un esempio che tocca il mondo medicale: abbiamo gruppo di ricerca che ha ottenuto materiali polimerici a base di chetina che si ricava dal granchio blu – che come sappiamo sta creando molti problemi all’ecosistema marino e lagunare – per applicazioni che vanno dai da patch medicali alla sensoristica. Sempre in campo biomedico abbiamo un altro gruppo di ricerca che si occupa di sviluppo di nanomateriali biocompatibili che hanno esempio applicazioni in oncologia. Ma tornando al tema della sostenibilità, questo viene affrontato anche dal punto di vista economico-manageriale con gruppi di ricerca che fanno business plan e studiano insieme insieme all’azienda tutto ciò che attiene ai processi e alla reportistica di sostenibilità. Essendo Venezia città di turismo, un altro tema su cui siamo impegnati è quello della cultura in senso molto ampio, questo ci porta a riflettere sulla sostenibilità dei flussi turistici. Con un approccio multidisciplinare usiamo Venezia come “laboratorio” per il resto del mondo. Questo significa guardare alle ricadute ambientali del turismo, andandole a misurare con il coinvolgimento dei nostri dipartimenti scientifici . La terza grande area su cui siamo concentrati e che mi vede impegnato anche personalmente è quella dell’agroalimentare, comparto importantissimo che genera a catena ricerca, sviluppo e innovazione in una serie di comparti collaterali.

Come riuscite a combinare questo carattere di multidisciplinarietà con la necessità di specializzazione molto elevata nei singoli ambiti della ricerca?

Mosaico vuole far sì che i diversi gruppi di ricerca possano concentrarsi nel loro specifico fino al punto in cui è necessario che parlino poi con gli altri. Sin dal primo contatto con l’impresa puntiamo a tenere insieme i pezzi e a far parlare tra di loro i diversi gruppi di ricerca. L’idea è quella di progettare l’interdisciplinarietà sin dall’inizio per affrontare i problemi da prospettive e angolature diverse.

Avete diversi spin off nei settori di cui abbiamo parlato e in altri. Il passaggio dal mondo dell’Università a quello dell’impresa in grado di stare sta sul mercato non è sempre rose e fiori…

Le università negli anni hanno sempre cercato di colmare la distanza che c’è tra la ricerca il mercato invogliando o incentivando i professori a fare delle spin off ma c’è un problema con gli spin off in Italia perché non muoiono mai. Spesso non diventano vere aziende restano in seno alle università, rimangono lì semi dormienti. Questo non va bene. Da noi gli spin off creati dai professori al 5.º anno vengono disaccreditati. Starà poi al docente capire se si tratta di realtà in grado di che stare sul mercato. Quest’anno ad esempio abbiamo tre spin out che avranno sempre un legame importantissimo con Ca’ Foscari ma che ora sono aziende. Queste tre realtà crescendo hanno liberato risorse, uffici, spazi, attenzioni dell’ufficio trasferimento tecnologico che saranno dedicate ad altri spin off che stanno nascendo.

Ci sono rapporti di collaborazione con il mondo sanitario nei progetti che state seguendo in campo biomedico?

Non avendo a Venezia la facoltà di medicina abbiamo un punto di partenza diverso rispetto ai cugini padovani. Tuttavia, nei nostri dipartimenti di area scientifica e in particolare in quello di sistemi di nanomateriali e nanosistemi, abbiamo portato avanti una vera e propria opera di attrazione di professionisti che rappresentano l’interfaccia tra questi ambiti di ricerca e il e mondo sanitario. Un esempio di questo è il gruppo guidato dal prof. Rizzolio che arriva dal CRO di Aviano. Negli ultimi cinque anni inoltre abbiamo coinvolto talenti importanti su progetti che poi vengono sperimentati presso i colleghi di Padova. L’anno scorso abbiamo depositato un brevetto che ha come base l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per l’analisi di immagini della risonanza magnetica consentendo di contrastare al meglio la parte cronicizzata di un’arteria del sistema circolatorio rispetto a un’altra.

C’è una costante che emerge nei rapporti con le aziende?

Il bisogno che manifestano di più è quello dell’accompagnamento. Le aziende non chiedono soluzioni pre-confezionate. Con loro lavoriamo per individuare soluzioni ai problemi, per poi inserire queste soluzioni nei processi industriali e per sviluppare competenze che serviranno a generare valore. Le aziende non vengono al “supermercato dei brevetti” ma ci manifestano un’esigenza e insieme si struttura un percorso che a volte porta anche all’assunzione dell’assegnista o del tesista che ha lavorato con loro perché vedono in lui non solo la capacità di promuovere ricerca applicata ma anche di formare persone che poi diventano utili all’azienda e che quindi continuano a fare da ponte tra ricerca e impresa.

Qual è il territorio a cui vi rivolgete?

Partiamo dal Nord Est ma vogliamo essere un interlocutore a livello nazionale.