Lino Polese: “C’è una montagna burocratica da scalare per chi vuole produrre qualcosa di nuovo in campo biomedicale”

Il Professor Lino Polese lavora presso il Dipartimento di Scienze chirurgiche oncologiche e gastroenterologiche dell’Azienda Ospedaliera di Padova. Docente Universitario a Padova dal 2010, ha al suo attivo oltre 5000 interventi chirurgici con approccio endoscopico, laparoscopico e tradizionale. Si occupa in particolare di Chirurgia colorettale e proctologica e di Endoscopia operativa. Cultore della chirurgia mininvasiva, è stato primo o tra i primi in Italia ad aver effettuato la procedura di STER (tecnica di asportazione endoscopica di alcuni tumori dell’esofago).

Autore di numerose pubblicazioni in ambito internazionale, è stato Relatore a numerosi Convegni e Congressi Nazionali ed Internazionali, presidente di Congressi Internazionali. E’ inoltre autore di brevetti per strumenti chirurgici, inventore dello strumento ARAMIS per l’asportazione mininvasiva di tumori rettali commercializzato dalla ditta SapiMED. Con il Professor Polese abbiamo parlato di presente e futuro del mondo biomedicale, mondo che conosce in modo approfondito.

 

Come sono nate le collaborazioni con le aziende del settore biomedicale?

Dall’esigenza di avere strumenti più adatti alla mia pratica clinica. Spesso è proprio la volontà di curare i pazienti nel modo migliore o meno invasivo, che alimenta l’esigenza del chirurgo di utilizzare strumenti più innovativi.

 

Ha sempre pensato che avrebbe desiderato impegnarsi anche nello sviluppo di dispositivi medici oltre che nell’attività clinica?

Dopo la laurea, durante il periodo di formazione, mi sono occupato molto di chirurgia sperimentale. Questo mi ha permesso di provare varie strumentazioni chirurgiche ed anche di crearne di nuove, in collaborazione con i ricercatori di Ingegneria dell’Università di Padova. Una volta volevo sperimentare un nuovo intervento chirurgico mini-invasivo, senza tagli sulla pancia, ma per farlo avrei dovuto comprare uno strumento molto costoso. Poichè i fondi per la ricerca non bastavano, ho pensato di creare un device monouso che funzionasse altrettanto bene. Allora era un’idea innovativa, oggi questo strumento è una realtà commerciale. Successivamente quella di trovare una soluzione pratica ai bisogni clinici di tutti i giorni è diventata un’abitudine. Questo mi ha portato a depositare vari brevetti con l’Università di Padova.

 

Con quali aziende ha collaborato? 

Ho avuto modo di collaborare anche con grosse aziende, come la Storz. In Italia con la SapiMed ho realizzato ARAMIS, il cui nome è l’acronimo di trans-Anal Rectoscopic Assisted Minimally Invasive Surgery, uno strumento per la chirurgia mininvasiva transanale. Il lavoro di collaborazione prevede tutti i vari step, dall’ideazione, al perfezionamento dello strumento, fino alla sperimentazione clinica. Le modalità di collaborazione non sono sempre le stesse, bisogna capire che quello clinico e quello industriale sono due mondi con esigenze differenti, ma che devono arrivare a convergere.

 

Come sarà il futuro del mondo biomedicale in epoca di payback?

Credo che sia una soluzione sbagliata e miope, che allontanerà molte aziende dalla sanità pubblica. Alla lunga rischia di compromettere anche il livello delle prestazioni sanitarie.

 

Che prospettiva vede per la produzione europea di dispositivi medici rispetto alla concorrenza cinese e del Far East in genere?

Il problema attuale è la montagna burocratica che deve scalare chi vuole produrre qualcosa di nuovo nel campo biomedicale. Negli anni più recenti si è verificato un ulteriore appesantimento di questo percorso, tanto che alcuni sono portati a trasferire in oriente la loro ricerca per raggiungere gli obiettivi più agevolmente. 

 

Qual è stato l’effetto del Covid su questo scenario?

Il covid in realtà ha sottolineato l’importanza della ricerca e dell’innovazione in ambito sanitario, investire in questo settore è interesse di tutti.  

 

Quanto sono frequenti le collaborazioni fra mondo medico e aziende in contesto universitario? 

Nell’ambito medico la validità e la sicurezza di un prodotto, sia che si tratti di un farmaco che di un device, è confermata e verificata attraverso studi sperimentali e clinici, che seguono una metodologia rigorosa. Questo rientra tra le competenze ed i compiti del medico Universitario. Per questo sono frequenti le collaborazioni tra le aziende che lavorano nell’ambito medicale e le Cliniche Universitarie. Si potrebbe fare di più ma è fondamentale poter disporre di una rete organizzativa che supporti chi fa ricerca durante tutte le fasi di sviluppo di un prodotto. Questo richiede la partecipazione di numerosi attori.