Innovazione, risorse umane e impegno per il territorio. Un confronto a tutto campo con Daniele Galavotti, CEO di Spectrum Medical Srl, divisione italiana dell’omonima azienda inglese che da pochi giorni ha rilevato Qura di Mirandola (Modena) di cui deteneva già il 49%. Galavotti ha 35 anni di esperienza nella progettazione e sviluppo di dispositivi medici, passando dalle grandi aziende alle startup. L’azienda di Mirandola ha sei camere bianche spalmate su quattro unità produttive, un fatturato in crescita che quest’anno si collocherà fra i 15 e i 20 milioni di euro e un organico di 170 persone, in ulteriore espansione.
Quella di Qura, ora Spectrum Medical Srl, è senza dubbio una storia di successo considerando che siete nati come startup solo nel 2015…
Quando abbiamo fondato la startup la nostra mission era quella di realizzare delle soluzioni innovative nel campo della circolazione extra-corporea in cardiochirurgia, ma soprattutto in quelle terapie di supporto cardio-respiratorio per pazienti con forte compromissione. L’obiettivo è sempre stato chiaro e la crescita è stata veloce.
Parlando del suo percorso professionale, come ha capito quali erano le opportunità da cogliere?
Sono stato fortunato da giovane a essere cresciuto in realtà locali, Dideco in particolare, che mi ha plasmato come ricercatore e tecnico di ricerca e sviluppo; questa esperienza ha condizionato tutto il mio percorso professionale. Sono una persona curiosa e la possibilità di frequentare un ambiente stimolante dal punto di vista tecnico mi ha permesso di individuare dei gap, delle aree grigie che potevano essere riempite con nuove idee e quindi nuove opportunità. L’idea di Qura era quella di realizzare qualcosa di nuovo facendoci accompagnare durante la fase di crescita da un grosso gruppo che avesse bisogno di appoggiarsi a una realtà “veloce” e di dimensioni contenute. Le grosse multinazionali oramai crescono con questo modello: acquisiscono piccole realtà perché sono più dinamiche e più focalizzate sull’obiettivo. La nostra fortuna è stata quella di non doverci rivolgere a un finanziatore ma potere quasi immediatamente trovare un partner industriale che aveva bisogno delle nostre idee e della possibilità si trasformassero in prodotti. Un modello di business ideale.
Come siete strutturati oggi in termini di organico?
Contiamo di arrivare a 180 unità a fine 2023, l’età media è 32 anni e abbiamo numerose posizioni aperte quindi ne approfitto anche per lanciare questo messaggio: siamo alla ricerca di personale specializzato e non.
Quali sono le doti umane necessarie per far parte di un’azienda come la vostra?
Sicuramente la capacità di lavorare in team perché il risultato è sempre di un gruppo di persone, non c’è mai un solista, non c’è mai il B player, ma ci sono tante individualità che bisogna essere bravi a valorizzare. Sono importanti l’approccio alla condivisione delle informazioni e la proattività. Quello che chiediamo è di aiutarci, possibilmente, a prevenire i problemi, agendo in prima persona. In generale preferisco le persone che si danno da fare, anche sbagliando, rispetto a chi resta immobile. Ci sono poi alcune professionalità specifiche che saranno sempre più richieste. Innanzitutto, esperti di analisi dei dati, ma anche responsabili dei processi produttivi che devono essere in grado di prendere decisioni in tempi molto rapidi, re-impostando le varie linee produttive, gestendo grosse quantità di materiali e team di persone. Un’altra figura molto richiesta è quella del tecnico addetto alla manutenzione. Molti dei nostri impianti lavorano su più di un turno, alcuni anche sui tre turni, quindi il fermo macchina è una spesa importante per l’azienda. Questa è una professionalità estremamente richiesta e, contrariamente a quello che si può pensare, anche ben retribuita. Infine c’è il ruolo del buyer che deve essere sicuramente a conoscenza dei processi produttivi, ma deve essere anche un bravo negoziatore perché in un mercato dinamico e variegato come quello attuale, la stabilità della qualità delle forniture è fondamentale, soprattutto nell’era post pandemica.
Un’azienda giovane e dinamica con un’età media di 32 anni. Questo non è scontato…
Uno dei motivi e uno dei propulsori che ci ha permesso di crescere molto velocemente è stato il fatto di centrare un obiettivo che riguardava dei fondi regionali. L’azienda è stata sponsorizzata già nel 2019, ci siamo applicati per un bando e abbiamo avuto una cifra consistente dalla Regione Emilia-Romagna su cinque progetti per un valore di dieci milioni di euro. Questo ha avuto una ricaduta occupazionale anche perché ci siamo impegnati ad assumere circa 80 persone in un arco temporale di tre-quattro anni. Un percorso che ci ha un po’ costretto, ne parlo con un’accezione positiva, a puntare sui giovani.
Che canali utilizzate per il reclutamento del personale?
Mi piace la domanda, perché mi permette di raccontare di un progetto che, insieme ad altre aziende, stiamo coltivando da circa anno e mezzo e che si chiama WeCare. Ci sono necessità, come quella riguardante il personale qualificato, che non sono solo di Spectrum Medical ma di tutte le aziende che operano sul territorio. Per questo stiamo iniziando un percorso per formare insieme alla scuola le professionalità che mancano, partendo già dalle scuole medie con l’attività di orientamento per poi passare alle scuole superiori e alla formazione post-diploma. Molte aziende del Distretto Biomedicale Mirandolese hanno scelto di collaborare con l’ITS locale proprio per poter avere la possibilità di disegnare le professionalità che mancano. In questi ultimi due anni c’è stata una discreta spinta in avanti dovuta anche al fatto che il nostro bacino è abbastanza saturo, nel senso che noi siamo costretti ad andare ad assumere risorse che vengono da altre province.
Cosa si sente di consigliare anche a chi sta ancora studiando?
Io suggerisco caldamente di cominciare a fare affiancamento alle imprese durante il percorso formativo perché può aiutare a sciogliere alcuni nodi e a capire dove andare a innestare la propria professionalità.
Come vede il futuro del settore?
Lo vedo positivo perché sono ottimista per natura e anche perché ho la fortuna di lavorare con tanti giovani. Vedo molta energia, che va sicuramente indirizzata, ma che è un ottimo punto di partenza. Voglio essere assolutamente nazionalista e credo che se ancora oggi gli stranieri continuano a investire nel Distretto Biomedicale Mirandolese e, in generale, nelle professionalità italiane, un motivo c’è, dobbiamo però diventare sempre più bravi a fare network sia nel nostro distretto industriale che a livello di Paese. Se devo poi esprimere il mio punto di vista sul futuro del settore, penso che la sostenibilità sia senza dubbio l’aspetto su cui concentrarci. Ci stiamo preparando a utilizzare polimeri riciclati anche per produrre dispositivi medici per avere un impatto più basso su tutta la filiera di produzione ed è necessario adottare metodi di sterilizzazione meno inquinanti. Dobbiamo avere uno sguardo attento su quello che sta succedendo al clima per cercare di impattare il meno possibile, tenendo alta, ovviamente, la qualità di quello che facciamo.